IN FLAGRANZA DI REATO

LE STATISTICHE PARLANO AL DI LA’ DELLA PROPAGANDA IDEOLOGICA: IN PROPORZIONE LE PERSONE CHE ARRIVANO DA ALTRI PAESI COMMETTONO PIU’ CRIMINI RISPETTO AGLI ITALIANI
E i sociologi confermano questa tendenza a delinquere, causata da condizioni di clandestinità, svantaggio sociale, una marginalità da cui non si riesce a uscire.
(da Panorama, 16 agosto 2023)
Maria, 21 anni, spinta a terra a Milano mentre tornava dal lavoro da un 29 enne egiziano che voleva rubarle la borsa. Provincia di Lodi, giovane nordafricano arrestato per stalking: aveva minacciato la vittima di sfregiarla con l’acido perché gli aveva detto «no». Sempre nordafricano l’uomo che lo scorso primo agosto ha derubato Mario Boselli, 82enne presidente onorario della camera della moda di Milano. E poi Mahmoud Abdalla, giovane barbiere egiziano, ucciso da due connazionali perché voleva cambiare lavoro, a Sestri Ponente. Crimini ormai quotidiani che fanno sembrare il caso di Innocent Oseghale, il nigeriano condannato per la violenza e l’assassinio di Pamela Mastropietro, un cupo campanello d’allarme. Questi episodi non sono eccezioni, però. Gli stranieri delinquono di più, come dicono i dati della popolazione carceraria, da cui emerge che solo loro rappresentano circa il 32 per cento del totale. Se si considera che tra regolari e non, i non italiani costituiscono circa il 10 per cento della popolazione, si evince che finiscono in carcere oltre tre volte più degli italiani. Poiché però si tratta in buona parte di «irregolari» – cioè di persone in condizioni economiche svantaggiate, senza rete di sostegno, che usufruiscono di misure alternative al carcere meno degli italiani – è importante integrare questi numeri con quelli sulle denunce forniti dall’Istat, l’istituto nazionale di statistica. Da essi emerge un quadro ancora più preoccupante. Gli immigrati vengono denunciati per gravi reati almeno quattro volte più degli italiani. Particolarmente allarmanti infatti le cifre relative a violenze e aggressioni sessuali che vedono gli stranieri rappresentare il 41 per cento dei denunciati. Una tendenza confermata in altri Paesi europei di forte immigrazione come Svezia e Francia dove i reati sessuali commessi da immigrati sono rispettivamente il 59 e il 63 per cento del totale.
Sui motivi per cui gli stranieri in genere commettano più reati della popolazione locale, la comunità scientifica ha una sostanziale unanimità. La responsabilità va individuata nelle loro condizioni di vita, spesso di deprivazione economica o marginalità. Una chiave interpretativa che trova il proprio riferimento teorico nella classica interpretazione marxista della criminalità, secondo cui è lo stato di povertà a portare alla delinquenza. Ciò nonostante, tale spiegazione del fenomeno viene negata da vari commentatori di sinistra che considerano la relazione stranieri-criminalità un mito alimentato da chi parla di «invasione». Una sorta di spauracchio che anche nei dibattiti televisivi, politici e organizzazioni umanitarie cercano di smontare ricorrendo ad alcuni escamotage retorici. In primis il fatto che, nonostante negli ultimi vent’anni la popolazione immigrata sia aumentata passando dall’1,8 al 9 per cento della popolazione, il totale dei crimini è diminuito.
Un fenomeno che il sociologo Marzio Barbagli, professore all’Università di Bologna e direttore scientifico di quattro «Rapporti sulla criminalità in Italia», ha ben indagato spiegando che si tratta di una sorta di illusione ottica perché il calo dei reati, iniziato negli anni Novanta, è dovuto principalmente al minor numero degli italiani che li commettono.
Ma c’è una seconda contro-argomentazione molto utilizzata da chi sostiene che i migranti siano «sovra-rappresentati» nelle statistiche. Poiché gli stranieri commetterebbero violenze soprattutto nei confronti di estranei, questi sarebbero più propensi a sporgere denuncia di quanto non facciano le vittime degli italiani, che spesso hanno una qualche forma di legame con l’aggressore. E quindi tenderebbero a denunciare meno.
«Si tratta soltanto di ipotesi» commenta il sociologo Luigi Solivetti docente all’Università La Sapienza di Roma e autore di vari volumi su immigrazione società e crimine. «I dati sul tipo di relazione tra aggressore e vittima, tracciati dalle forze dell’ordine, non sono infatti disponibili. Più volte ne ho fatto richiesta, ma senza avere risposta».
Un curioso vuoto informativo che complica l’analisi del fenomeno anche se in realtà, il sospetto è che i reati commessi dagli stranieri non siano «amplificati» bensì sottostimati. Poiché molti crimini, tra cui le stesse violenze sessuali, sono intra-etnici, spesso finiscono per non essere denunciati a causa delle condizioni di marginalità e irregolarità dei migranti che ne sono vittima. In ogni caso, prosegue Solivetti, «se i dati confermassero il sospetto che gli immigrati aggrediscono soprattutto persone a loro estranee, più di quanto non facciano gli italiani, ci troveremmo di fronte ad un elemento da non sottovalutare perché indicativo di un’aggressività diversa e non certo inferiore a quella di esercita violenza contro familiari o conoscenti».
L’ultima argomentazione portata da chi vuole ridimensionare il legame tra stranieri e reati, evoca gli Stati Uniti, Paese di immigrazione per eccellenza. Qui i nuovi arrivati, per lo più dal Sud America, presentano tassi di delinquenza più bassi rispetto a quelli della popolazione autoctona. Un caso interessante che aiuta ad uscire dall’idea che gli immigrati siano una macro-categoria indistinta da criminalizzare o assolvere a priori. All’origine del fenomeno vi sarebbero infatti fattori ambientali propri della società Usa come la flessibilità del mercato del lavoro e l’alto livello di libertà economica. Aspetti favorevoli all’integrazione e che invece non si riscontrano nella realtà italiana. Un ruolo importante lo giocherebbe inoltre la cultura dei sudamericani, caratterizzata da forti vincoli familiari e impegno religioso. Peculiarità che abbassano la propensione al crimine.
Non solo. Tutti gli studi di criminologia concordano che i principali autori di reati sono maschi giovani nella fascia anagrafica 18-49 anni. Quella che coincide con buona parte dei migranti che sbarcano sulle nostre coste e, guarda caso, come i tre quarti degli imputati in Italia.
Proprio i più giovani, insieme agli immigrati di seconda generazione e ai minori non accompagnati, sono le categorie più esposte a problemi di identità e integrazione. Il 22 luglio, per esempio, sette minori stranieri sono stati arrestati dopo aver aggredito alcuni anziani fuori da un supermercato sempre a Milano. Anche qui i dati dell’Istat sono chiari. Nonostante i minori stranieri tra i 14 e i 17 anni rappresentino solo il 9 per cento del totale, sono responsabili del 65 per cento degli scippi, del 50 per cento dei furti, del 48 per cento delle violenze sessuali e del 40 per cento delle percosse. Una situazione che la presidente del Tribunale per i minorenni di Milano, Maria Carla Gatto, ha più volte definito ormai «fuori controllo». E forse, a questo punto, c’è da crederci.