A.A.A. MIGRANTI QUALIFICATI CERCASI

IL PARADOSSO DEI LAVORATORI STRANIERI: SEMPRE PIU’ “RICHIESTI” EPPURE SEMPRE PU” POVERI
(da Panorama 15 marzo 2023)
«L’Italia ha bisogno di lavoratori immigrati» è il refrain che sentiamo
ripetere ciclicamente accompagnato da quello secondo cui “gli
stranieri ci pagano le pensioni” o che “ci servono” per i lavori che gli
italiani non vogliono più fare. Al di là del roboante annuncio di
“500.000 immigrati” lanciato dal Ministro dell’Agricoltura Francesco
Lollobrigida, o dei report di Unioncamere Excelsior che dal
2021teorizza un fabbisogno programmato di lavoratori immigrati
pari a quasi 673 mila unità (ma questo non vuol dire che non si
possa attingere a quanti si trovano già sul territorio), i numeri sul
tavolo del nuovo decreto flussi per ora sono pura teoria. Durante il
click day del prossimo 27 marzo, potranno fare domanda 84mila
lavoratori, ma sono ancora quelli previsti dal decreto 2022. Cifre
comunque importanti che però non devono farci cadere nel tranello
di pensare che questa domanda di lavoro venga colmata dai
disperati che arrivano sui barconi in una sorta di gioco di vasi
comunicanti. << Il ciclo dei flussi migratori finalizzati a compensare
la domanda di manodopera poco qualificata iniziato negli anni 2000
si sta ormai esaurendo, oggi abbiamo bisogno soprattutto di
immigrati qualificati>> spiega Natale Forlani, Presidente del
comitato scientifico per il contrasto alla povertà presso il Ministero
del Lavoro.
Lo dimostrano i dati dell’Istat da cui emerge che il 30% degli
stranieri si trova in condizioni di povertà assoluta e che questi
rappresentano ormai un terzo dei poveri in Italia Dunque
ricapitoliamo. Da un lato le associazioni di categoria ci ripetono che
la domanda di lavoro immigrato è superiore all’offerta, ma dall’altro i
salari degli stranieri continuano a diminuire. Un vero e proprio
paradosso che va contro le leggi dell’economia e che secondo
Forlani si può spiegare analizzando le caratteristiche dei settori del
mercato del lavoro in cui si concentrano gli immigrati..
<<Dall’agricoltura ai servizi alle persone, dalla ristorazione alla
logistica, ci sono interi settori lavorativi che ormai si reggono proprio
sul lavoro sommerso e sottopagato degli immigrati>> spiega Forlani
<<Grazie al contributo di una manodopera immigrata a basso costo
solitamente reperita tramite circuiti informali (non certo tramite
agente di collocamento) e in alcuni casi, vedi il caporalato, persino
criminali. Un circolo vizioso che i flussi illegali, considerati
erroneamente “una potenziale forza lavoro”, rischiano di alimentare.
Uno scenario dunque che ben contrasta con quelli a tinte rosa
dipinti ciclicamente da autorevoli esperti ed istituti di ricerca come
Idos e Fondazione Moressa secondo i quali gli stranieri
rappresentano un bel tesoretto per le casse dello stato. “Un saldo
positivo di almeno 500 milioni” nel 2020 dice Moressa, che stima i
contributi IRPEF ad addirittura 4 miliardi per un contributo totale di
quasi 144 miliardi. Il 9% del PIL.
Cifre mirabolanti che, se reali, sarebbe una gran bella notizia, la
conferma che le attuali politiche migratorie funzionano e sono in
grado di valorizzare la popolazione attiva immigrata che, essendo
più giovane di quella italiana, è sicuramente una risorsa importante
per la tenuta del paese. Invece, queste cifre non sono reali e si
reggono su degli escamotage. Quando telefoniamo all’Istituto
Moressa per capire come abbiano fatto tali calcoli, Enrico di
Pasquale, il ricercatore che ha seguito il report, ci confessa che «i
dati sui versamenti Irpef sono stati costruiti» a partire dall’unico
grande dato disponibile fornito dal MEF (Ministro dell’Economia e
della Finanza) sui 4,3 milioni di “nati all’estero”. E poiché il MEF
raccoglie i dati sulla base dei codici fiscali, conosce solo il paese di
nascita dei contribuenti, non la loro cittadinanza. Il che significa che
in questa categoria rientrano anche molti italiani nati all’estero,
soggetti con uno stile di vita mediamente ben diverso da quello di
un immigrato magari sbarcato a Lampedusa. Di Pasquale spiega
che il MEF fornisce anche una stima del numero di contribuenti per
Paese d’origine e la media dei versamenti. Se però i contribuenti
stranieri sono solo una stima, il contributo Irpef non può che
essere un’ approssimazione. Peraltro assai lontana dalla realtà
come spiega Forlani, Secondo i dati forniti dall’Osservatorio sulle
retribuzioni dell’INPS, quasi la metà dei circa 1,6 milioni di stranieri
occupati nei settori dell’Industria e dei servizi, prende meno di
10mila euro, dunque rientra nella no tax area. Cioè non paga tasse.
Gli agricoli e i domestici hanno retribuzioni medie persino minori.
Solo il 6,4% dei contribuenti supera i 30 mila euro e nel complesso
le retribuzioni medie risultano inferiori del 30% rispetto a quelle
degli italiani. Ora, se si considera che da dati MEF, per le classi di
reddito entro i 15 mila euro, l’imposta media è di circa 580 euro, al
netto delle dovute detrazioni, si arriva ad un totale di circa 980
milioni di euro di contributi fiscali. Meno di un quarto rispetto a
quanto prospettato da Moressa.
Anche l’impatto dei contributi previdenziali degli stranieri è lontano
dalle aspettative, anche prendendo un numero di contribuenti
gonfiato, i circa 2,9 milioni di soggetti sul cui conto risulta almeno un
versamento INPS nel corso dell’anno. Ebbene, anche qui, se
teniamo conto delle retribuzioni medie e delle aliquote ridotte di
lavoratori agricoli, per la gran parte stagionali, e domestici, secondo
Forlani si arriva ad un totale di circa 9 miliardi. Anche questa cifra
ben al di sotto dei 13 miliardi teorizzati da Moressa. Un totale
contributivo dunque di circa 10 miliardi che viene annullato dalla
sola spesa sanitaria pari a 1900 euro pro capite per i 5,172 milioni
di stranieri regolari. Senza considerare dunque i costi per
l’istruzione, l’assistenza, i sostegni ai redditi ecc.
<<Gli immigrati offrono un contributo importante all’economia
italiana – commenta Forlani – ma non possiamo più permetterci di
continuare a immettere sul mercato manovalanza a basso costo
perché questo non può che impoverire ulteriormente la popolazione
immigrata. Gli ingressi vanno programmati in base ai bisogni del
mercato del lavoro e alla domande delle imprese, occorre superare
il meccanismo del click day che peraltro non esiste in nessun altro
paese europeo. Occorre inoltre favorire percorsi di formazione che
coinvolgano le imprese, le agenzie del lavoro e i lavoratori,
compresi quanti già vivono in Italia. Se davvero vogliamo aiutare gli
immigrati a trovare valide alternative a lavori malpagati e sfruttati,
non ci sono altre strade>>.